Estradizione verso l’estero (U.S.A.) - violazione ne bis in idem internazionale - autonomia del reato associativo (‘conspiracy’) rispetto ai reati fine - valutazione effettuata da una Corte di un altro Stato dell’Unione con una pronuncia emessa in sede esclusivamente estradizionale - violazione del divieto di un secondo giudizio in ambito internazionale – insussistenza
La Prima Sezione della Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 20-06-2023/17-07-2023 (irrevocabile il 7-10-2023) ha affrontato alcune interessanti questioni relative ai rapporti tra reato associativo e reati fine per valutare l’eventuale sussistenza del divieto di bis in idem internazionale. La Corte, dopo aver rilevato che l’estradando era stato definitivamente condannato dalla A.G. italiana per il reato previsto dall’art. 648 bis c.p., mentre dello stesso era stata richiesta l’estradizione in quanto imputato negli U.S.A. del solo reato di conspiracy (reato associativo) e che detto reato è espressamente considerato dal Trattato bilaterale di estradizione nel novero di quelli che legittimano l’estradizione, purché i reati fine dell’associazione a delinquere siano puniti penalmente anche nell’ordinamento italiano, escludeva la sussistenza del divieto di ne bis in idem sul rilievo che il reato associativo è autonomo e indipendente dai reati fine.
Nella stessa pronuncia la Corte ha escluso che sussistesse violazione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (c.d. Carta di Nizza) nella parte in cui sancisce il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, e ciò in relazione ad una precedente decisione dell’Autorità Giudiziaria ungherese che si era pronunciata negativamente sulla richiesta di estradizione formulata dagli Stati Uniti nei confronti del medesimo per lo stesso reato. Invero, secondo la Corte d’Appello di Firenze una pronuncia emessa in sede esclusivamente estradizionale da parte di altro stato membro non ha alcun effetto preclusivo rispetto alla decisione devoluta alla Corte italiana.
Tipologia: Comunicato
Data: 02/02/2024
Delitti dei privati contro la P.A. - oltraggio a P.U. - espressioni oggettivamente offensive della reputazione altrui manifestate in consiglio comunale nei confronti del sindaco e dei consiglieri comunali e riferite alla sola sfera politica – diritto di critica (art. 51 c.p.) – sussistenza.
La I sezione della Corte d’Appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado ha assolto con la formula del fatto non costituisce reato un consigliere comunale di minoranza che nel corso della prima seduta del consiglio comunale aveva affermato “che i consiglieri di minoranza non riconoscono agli altri componenti dell'organo collegiale il ruolo, morale e politico, per stare seduti sui banchi della maggioranza perché la loro vittoria si basa probabilmente su un voto di scambio, situazione in merito alla quale è stata data, a suo tempo, comunicazione al Prefetto".
Secondo la Corte la sentenza di condanna impugnata, nel valutare le espressioni utilizzate dall'imputato come esorbitanti il diritto di critica, avrebbe dovuto confrontarsi con il contesto dialettico nel quale si inserivano, essendo emerso come le parole pronunciate in consiglio comunale fossero strettamente connesse alla dura competizione elettorale svoltasi tra la persona offesa - candidato alla carica di sindaco e la sua maggioranza - e l’imputato, conclusasi con la vittoria del primo con uno scarto minimo di voti e connotata da una serie di vicende (come il concorsone per le assunzioni dell’acquedotto annunciato e poi ritirato, l’affidamento dei servizi pubblici ad un soggetto privato del luogo con un centinaio di dipendenti) che, agli occhi degli avversari, erano state ritenute scorrette perché avrebbero potuto influenzare il voto.
In tale contesto le frasi proferite dall’imputato, lungi da integrare invettive dirette alle persone dei consiglieri, dovevano intendersi quale manifestazione di una libera valutazione negativa in merito alla legittima partecipazione dei rappresentanti della maggioranza all’organo consiliare, in quanto tale idonea a scriminare la condotta.
Tipologia: Comunicato
Data: 22/12/2023
1)Istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa - responsabilità penale degli organi amministrativi per la dissipazione dei beni aziendali - presupposti;
2)Istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa - responsabilità penale degli organi amministrativi – nozione di operazione manifestamente imprudente, cui sia conseguita la perdita di una notevole parte del patrimonio
3)Istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa - responsabilità penale degli organi amministrativi - nozione di "notevolezza" rilevante ai sensi dell'art. 217 L.F.
4)Istituto bancario in liquidazione coatta amministrativa – parti civili – presupposti per l’accoglimento della domanda di condanna generica
Di seguito pubblichiamo per estratto una importante sentenza della III Sezione della Corte d’Appello in data 29.12.2022 che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado nei confronti degli organi amministrativi di un istituto bancario locale dichiarato in stato di insolvenza all’esito della procedura di l.c.a. Numerose le questioni affrontate nella sentenza tra le quali segnaliamo:
1.Quanto alla prima questione, si è fatta applicazione del consolidato concetto di dissipazione per escludere il reato di bancarotta fraudolenta in capo all’amministratore. La "dissipazione", come ricorda la Corte d’Appello, consiste nell'impiego dei beni aziendali in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle sue specifiche condizioni economiche e finanziarie. Occorre, cioè, come chiaramente insegna la Giurisprudenza di legittimità, che l’agente tenga comportamenti manifestamente configgenti ed incoerenti, secondo un giudizio "ex ante", con la tutela del ceto creditorio e con la logica di impresa, ed occorre, sotto il profilo soggettivo, la consapevolezza, da parte dell'autore della condotta, di diminuire il patrimonio societario per scopi del tutto estranei all'oggetto sociale. Nel caso di specie secondo la Corte non può affatto dirsi che l’amministratore abbia contribuito ad adottare decisioni “abnormi”, palesemente contrarie all’interesse della Banca, giacché, all’epoca del suo mandato l’istituto di credito decise di finanziare un soggetto reale, che svolgeva una intensa attività economica sulla base di commesse ricevute da soggetti - pubblici o privati – importanti e, almeno apparentemente, dotati di solidità finanziaria. L’istituto di credito assunse, con l’operato dell’imputato poi assolto, un rischio di credito che rientrava nell’alea propria dell’impresa bancaria, e che lo fece con modalità (lo sconto delle fatture e l’anticipazione su contratti) proprie del settore di competenza, sicché non sono i risultati dell’attività che gli possono essere imputati sotto il profilo penale.
2. La seconda questione di rilievo è quella della nozione di “operazione manifestamente imprudente, cui sia conseguita la perdita di una notevole parte del patrimonio”. La Corte ha escluso che una operazione di “interest rate swap” volta a rendere più accettabile il rischio collegato alla fluttuazione dei tassi d’interesse, effettuato secondo una prassi bancaria diffusa e in esecuzione di una specifica clausola del contratto di finanziamento, possa costituire una operazione manifestamente imprudente, laddove la finalità sia stata quella di quella di accantonare “moneta bancaria” (vale a dire, moneta virtuale) per far fronte ad imprevisti futuri.
3. La terza questione che segnaliamo è l’elaborazione del concetto di “notevolezza” rilevante ai sensi dell’art. 217 L.Fall. Secondo la Corte d’Appello, deve escludersi che la consumazione del patrimonio possa essere considerata “notevole” solo quando abbia determinato o aggravato il dissesto dell’impresa (giacché in questo caso si ricadrebbe nell’ipotesi dell’art. 217, n. 4, LF: aver aggravato il dissesto “con altra grave colpa”),così come non possa parlarsi di consumazione notevole solo quando sia stato pregiudicato il soddisfacimento dei creditori, rendendo incapiente il patrimonio dell’impresa, giacché anche in questo caso si ricadrebbe nell’ipotesi precedente. Pertanto, nel silenzio della legge, si debbano utilizzare, al fine anzidetto, alternativamente, i criteri della proporzionalità e della “quantità”, nel senso che è “notevole” il danno (“la consumazione”) sia quando erode una parte proporzionalmente consistente del patrimonio dell’impresa – rimanendo impregiudicata, in questo caso, la determinazione della misura della proporzione – sia quando sia consumata una parte del patrimonio che sia, in assoluto, “notevole”. Nel silenzio della legge non è possibile, infatti, attribuire rilevanza esclusiva ad uno dei due criteri, anche e soprattutto perché la diversità delle situazioni di fatto, su cui si innesta l’operazione imprudente, rende adeguato talvolta il primo, talvolta il secondo degli anzidetti criteri di valutazione, in dipendenza delle dimensioni e della natura dell’impresa e del suo stato di salute, nonché del tipo di operazione intrapresa.
4. L’ultima questione che si segnala e che la Corte risolve in consapevole contrasto con parte della giurisprudenza di legittimità, è quello secondo cui ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni in favore delle parti civili non è sufficiente accertare l'illegittimità della condotta, ma occorre anche accertarne, sia pure con modalità sommaria e valutazione probabilistica, la portata dannosa di essa, senza la quale il diritto al risarcimento, di cui si chiede anticipatamente la tutela, non può essere configurato.
Tipologia: Comunicato
Data: 19/10/2023