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Reati tributari – omessa dichiarazione IRPEF e IVA

Reati tributari –   omessa dichiarazione IRPEF  e IVA art. 5  D.lgs. 74 - 2000 - superamento della soglia di punibilità determinato dall’inserimento, tra gli elementi attivi, dei “prelevamenti” effettuati dall’imputato sui conti di cui era titolare – presunzione  di cui  all’ 32, comma 1, n. 2, del Dpr 29 settembre 1973, n. 600  - applicabilità solo ai “ricavi” conseguiti dall’imprenditore e non anche dal lavoratore autonomo -  impossibilità nell’ambito penale,  in mancanza di  ulteriori elementi  che rafforzino la presunzione tributaria,  di  equiparare  sic et sempliciter  l’agente di commercio  all’imprenditore  commerciale – conseguente impossibilità di equiparare i prelevamenti effettuati al reddito d’impresa.

La III sezione della Corte d’Appello di Firenze con sentenza del 23 settembre 2022 ha assolto con la formula del fatto che non sussiste un agente monomandatario che in primo grado era stato condannato per  omessa dichiarazione  IRPEF e IVA  commessa nel corso di alcuni anni. L’imputazione si basava essenzialmente sull’applicazione della presunzione tributaria di cui all’ 32, comma 1, n. 2, del Dpr 29 settembre 1973, n. 600. L’Agenzia delle Entrate in mancanza di giustificazioni da parte dell’imputato   aveva qualificato reddito d’impresa quello conseguito dall’imputato tramite “prelevamenti” effettuati  dal proprio conto corrente, allorché gli stessi  eccedevano i 250 euro giornalieri o non erano sicuramente riconducibili a spese personali o familiari. Secondo la Corte, indipendentemente dalla astratta possibilità di qualificare l’agente di commercio  quale imprenditore commerciale, niente autorizzava  a ritenere che  questi avesse effettivamente utilizzato le somme prelevate dai suoi conti per investirli nell’attività imprenditoriale e produrre ricavi. Si trattava, infatti, di agente monomandatario, che girava l’Italia per sponsorizzare i prodotti di una azienda avvalendosi di una organizzazione rudimentale, rappresentata da un proprio mezzo di locomozione e dai cataloghi forniti dall’impresa rappresentata. Non risultava altresì che si avvalesse di collaboratori o di strumenti di lavoro sofisticati, incrementabili con i prelievi effettuati e suscettibili di utilizzo proficuo. Tali circostanze di fatto rendevano inapplicabile la presunzione tributaria e l’attribuzione di redditi idonei a superare le soglie di punibilità previste dall’art. 5 d.lgs. 74/2000


Tipologia: Comunicato

Data: 07/12/2022

Sentenza CdA 23 settembre 2022

Responsabilità dell'institore

Bancarotta patrimoniale e documentale – responsabilità dell’institore – art. 227 L. Fall. – delimitazione dell’ambito di responsabilità – responsabilità per fatto proprio – posizione di dipendenza e subordinazione rispetto all’imprenditore - responsabilità dell’institore per i soli atti posti in essere personalmente con esclusione di quelli realizzati direttamente dall’imprenditore.

Con sentenza N. 3391 – 2022 del 23 settembre 2022 (depositata il 14.0.2022) la III sezione della Corte d’Appello di Firenze ha fatto il punto sulla responsabilità dell’institore nei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La  Corte  ha  precisato che  la responsabilità dell'institore per i reati fallimentari è prevista espressamente dall'art. 227 L. Fall., allorché nella gestione affidatagli si sia reso responsabile di uno dei reati preveduti dagli artt. 216, 217, 218 e 220 L. Fall. Tale rinvio rende evidente la volontà del legislatore di estendere all'institore - salve le limitazioni connaturate alla sua posizione - la responsabilità penale per gli atti di bancarotta patrimoniale e documentale posti in essere nella gestione affidatagli, alla semplice condizione che l'imprenditore sia dichiarato fallito. Secondo la Corte “trattasi di responsabilità per fatto proprio, giacché l'institore può, ex art. 2204 c.c., compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto, salve le limitazioni stabilite nella procura; ed è responsabile, insieme all'imprenditore, dell'osservanza della tenuta delle scritture contabili (art. 2205 c.c.)” . Pertanto  “l’institore assume, nell'ambito dell'impresa, al pari dell'imprenditore e insieme a lui, una posizione di garanzia rispetto alla destinazione dei beni aziendali e alla corretta tenuta delle scritture contabili, che ne importa la sottoposizione alle norme penali poste a presidio degli interessi tutelati (Cass., n. 8705 del 24/6/1992; n. 867 del 21/6/1971). L’institore, come il procuratore generale (le due figure tendono a confondersi nella pratica), rimane, però, un dipendente dell’imprenditore, sicché a lui sono riferibili – quando la sua attività si affianchi a quella dell’imprenditore - gli atti posti in essere personalmente, per il principio di personalità della responsabilità penale, e non certamente quelli posti in essere dall’imprenditore personalmente”.


Tipologia: Comunicato

Data: 22/11/2022

Sentenza CdA FI 23 settembre 2022

Reati Tributari – art. 10 quater D.lgs. n. 74/2000

Reati Tributari – art. 10 quater D.lgs. n. 74/2000 –  elemento oggettivo del reato - evasione, mediante compensazione indebita, di imposte quali l'IVA e le imposte sui redditi, con esclusione di  debiti di altra natura (ad es. previdenziale)  -  infondatezza - ambito di applicazione della norma anche  alla indebita  compensazione c.d. orizzontale –   omesso versamento di somme di denaro attinente a debiti, sia tributari, sia di altra natura, per il cui pagamento debba essere utilizzato il modello di versamento unitario.

Con sentenza del 13. Ottobre 2022 la III sezione della Corte d’Appello di Firenze,   ha rigettato l’appello dell’imputato  avverso una sentenza di condanna per il reato di cui all’ art. 10 quater D.Lgs. n. 74/2000.

Il primo motivo  dell’appello era relativo alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Poiché il debito estinto mediante la compensazione indebita era di natura previdenziale, si sosteneva,  in  adesione a un  orientamento giurisprudenziale ( Corte di Cassazione n. 38042 del 10.5.2019),  che la norma richiedesse che il debito erariale estinto in modo indebito avesse una natura esclusivamente tributaria. La Corte d’Appello ha respinto detta interpretazione,  sostenendo che  l’orientamento giurisprudenziale  invocato  è infondato e superato da più recenti pronunce della Suprema Corte: (Cass n.  389 del 18.9.2020; cfr. anche Cass. n. 13149 del 3.3.2020, e da ultimo la n. 23083 del 2.2.2022).   In particolare, la sentenza n. 37085 del 28.9.2021 con approfondita motivazione, “ha ritenuto che tale interpretazione sia confortata non solo dalla genericità del testo normativo quanto al riferimento alle “somme dovute”,  ma anche dal richiamo all'art. 17 D.Lgs. n. 241/1997, che prevede la possibilità di compensazione tra crediti e debiti di natura diversa quando il pagamento avvenga mediante un modello di versamento unitario delle imposte, dei contributi dovuti all'INPS e di qualunque altra somma dovuta allo Stato, alle Regioni o ad altri istituti previdenziali, nonché dalla presenza all'interno del D.Lgs. n. 74/2000, ormai divenuto un “contenitore”, anche di reati concernenti tributi diversi dall'IVA e dalle imposte dirette”.


Tipologia: Comunicato

Data: 02/11/2022

Sentenza CdA 13 ottobre 2022

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